In Italia aumenta il gap e la riduzione delle emissioni inquinanti diventa una sfida veramente ardua. Bisogna evitare l’emissione di 125 tonnellate entro il 2030 se si vogliono rispettare i target stabiliti, 15 tonnellate in più rispetto quanto stimato lo scorso anno.
Le emissioni di CO2 in Italia nel corso del 2022 sono infatti scese di un solo punto percentuale se confrontate con il 2019, portando le riduzioni totali ad appena il 30% dal 2005.
A doversi impegnare maggiormente i settori della green mobility e dell’efficienza energetica, comparti al momento al centro di grandi difficoltà insieme all’edilizia residenziale, commerciale e ai servizi pubblici settori lontani dai target al 2030, data entro cui le emissioni dovrebbero calare rispettivamente del 33% e del 23%, al ritmo del 4% e del 3% l’anno, mentre i comparti più vicini al raggiungimento degli obiettivi sono l’industria e la gestione dei rifiuti.
Sono questi alcuni dei dati contenuti nello Zero Carbon Policy Agenda 2023, realizzato dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano presentato e discusso lo scorso 18 ottobre 2023 a Milano insieme alle aziende partner della ricerca.
“Serve un deciso cambio di marcia normativo che acceleri lo sviluppo simultaneo di tutti i pillar della decarbonizzazione in un’ottica sinergica, attraverso una roadmap di lungo periodo. Oggi ci sono più difficoltà a trovare spazio per la transizione ecologica nell’agenda politica, ma questo rischia di disperdere il patrimonio di asset, competenze e imprese che nel nostro Paese si è costituito e rafforzato dal 2011” ha dichiarato il , vicedirettore di Energy&Strategy e responsabile dell’Osservatorio Davide Chiaroni che ha concluso “Va proprio in questa direzione la principale proposta che emerge nel Rapporto, frutto del confronto con gli operatori del settore e i partner della ricerca: lo sviluppo di una roadmap integrata per la decarbonizzazione, con orizzonte di lungo periodo, obiettivi intermedi chiari, regole certe per la misurazione di tutte le emissioni, attuazione delle riforme rimaste al palo, semplificazioni burocratiche e strumenti a supporto adeguati. Oggi – continua Chiaroni – ci sono più difficoltà a trovare spazio per la transizione ecologica nell’agenda politica, ma questo rischia di disperdere il patrimonio di asset, competenze e imprese che nel nostro Paese si è via via costituito e rafforzato dal 2011, e a cui ci siamo rivolti per elaborare una Zero Carbon Policy”.
Secondo il Report le otto aree di intervento principali, ovvero energie rinnovabili, infrastrutture di rete, efficienza energetica, mobilità sostenibile, comunità energetiche, circular economy e, da quest’anno, cattura della CO2 e carbon in/offsetting hanno tutte registrato una crescita rispetto al 2021, tranne le immatricolazioni di veicoli elettrici, calate dell’8,9%.
Come si legge nel comunicato stampa diffuso a margine dell’evento di presentazione del documento “Nonostante la presenza di missioni dedicate alla transizione ecologica e alla mobilità sostenibile, le riforme e gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vengono valutati dagli operatori del settore come di medio impatto sulla decarbonizzazione e, soprattutto, di importo decisamente non sufficiente allo sviluppo dei pillar necessari. Inoltre, l’erogazione di questi fondi è in ritardo, seppure di poco (-15% rispetto a quanto previsto dal Piano per settembre 2023), per la metà dei pillar, che hanno quindi subito un rallentamento nell’implementazione. L’area di intervento che conta più misure e maggiori investimenti all’interno del PNRR è la mobilità sostenibile, che tuttavia si posiziona al quarto posto per il potenziale di riduzione delle emissioni percepito dagli operatori di mercato. Seguono, in termini di fondi stanziati, l’efficienza energetica e le rinnovabili, mentre non sono presenti misure dedicate alla cattura della CO2 e al carbon offsetting/insetting. Brilla di luce propria invece la circular economy, che nonostante i ritardi mostra il più alto grado di avanzamento medio tra riforme e investimenti.
Partendo dal database ENV-TECH dell’OCSE, pubblicato nel 2015 per misurare l’innovazione nelle tecnologie legate all’ambiente (Brevetti Ambientali), il Rapporto si è focalizzato sulle invenzioni a più alto potenziale per la decarbonizzazione. Osservando l’andamento nei quattro principali Paesi europei per brevetti depositati – che sono Germania (310.000), Francia (75.000), Italia (38.000) e Spagna (34.000) – si nota un leggero aumento di registrazioni brevettuali legate alla decarbonizzazione, che tuttavia rappresentano solamente il 10-20% del totale nel quinquennio 2015-19 (l’ultimo con dati a disposizione), in particolare nel campo dell’efficientamento energetico e della generazione di energia pulita.
L’Italia soffre il confronto internazionale, perché anche se totalizza in generale un maggior numero di brevetti rispetto alla Spagna, in campo ambientale ne registra il 35% in meno: il nostro Paese infatti dimostra un minor interesse verso nuove soluzioni per la decarbonizzazione tramite l’infrastruttura energetica e l’impiego dell’idrogeno, mentre detiene il primato nelle tecnologie per la gestione dei rifiuti (purtroppo, la parte “meno nobile” della circular economy) e l’abbattimento di inquinamento atmosferico. Rispetto all’idrogeno, tra il 2015 e il 2019 sono stati totalizzati tra i quattro Paesi oltre 6.000 brevetti, per l’85% di derivazione tedesca e per il 75% focalizzati nei trasporti.